domenica 8 gennaio 2012

L'inciviltà della violenza nei paesi civilizzati...

Dal 1975, anno della prima dichiarazione dell'ONU  contro la violenza verso le donne, ad oggi si sono sviluppate nel mondo ed in Europa politiche e direttive precise per l'attivazione di servizi e di reti contro questo fenomeno che procura danni morali e materiali rilevanti alla nostra società.

La violenza contro le donne e i bambini è una violazione dei diritti umani e senz’ombra di dubbio è una di quelle più frequenti in tutto il mondo. La causa principale dei traumi fisici e psicologici inflitti a donne e bambini è la violenza commessa all’interno delle mura domestiche, in famiglia e dal partner.
Dall’inizio degli anni settanta furono istituiti i primi centri antiviolenza, essi hanno rappresentato un fattore di vitale importanza nello sviluppo sociale, non solo fornendo a donne e bambini un rifugio sicuro, ma anche promuovendo una politica di uguali diritti ed opportunità per uomini e donne, e sostenendo il diritto fondamentale ad una integrità fisica, emotiva e mentale.
Prima degli anni ‘70 la violenza contro le donne coincideva con la violenza sessuale agita da un estraneo. Le percosse, i ricatti, gli insulti, le minacce e le privazioni economiche ai danni della moglie o dei figli venivano considerati normali conflitti familiari se non addirittura mezzi di giusta correzione, riprovevoli solo se in eccesso, ma pur sempre fatti privati. Il fenomeno della violenza, anche se diffuso, restava nascosto tra le pareti domestiche.
Nel 1976 a Roma le donne occupano uno stabile in via del Governo Vecchio che diventa la prima casa delle donne e il primo centro antiviolenza in Italia, poi nel 1979 il movimento delle donne presenta una proposta di legge popolare contro la violenza sessuale e nascono i primi telefoni rosa e le case di accoglienza.
I primi Centri sono nati negli anni ‘80 per iniziativa e merito di associazioni di donne,  che li hanno progettati e sostenuti con l'impegno professionale gratuito delle socie volontarie e con l'aiuto economico di tante altre donne. Inizialmente, questi centri si basano sull’importanza di creare una relazione tra donne e darsi forza attraverso questa e non vengono pensati come servizi, ma come luoghi di relazione tra donne in cui attivare forme di ascolto e di mutuo aiuto.
Nel tempo, il lavoro dei centri attira l’attenzione dell’opinione pubblica anche sulle forme più sottili tipiche della sfera privata, ma ancora oggi devono continuamente lottare per la loro visibilità e per il loro riconoscimento e non riescono ad ottenere finanziamenti dignitosi dalle istituzioni.

Ci sono stati anche molti cambiamenti normativi, che riguardano in particolare la violenza sessuale, poiché in Italia fino al 1996 era in vigore il Codice Rocco, che tra le altre cose, lo stupro in tale codice veniva considerato un reato contro la morale e non contro il corpo delle donne.
Nel 1996 con il Ddl del 22 dicembre, viene cambiata la legge contro la violenza sessuale e nel 2001 si è introdotta una nuova norma che prevede l’allontanamento del congiunto violento. Inoltre si
stanno mettendo a punto iniziative in favore dello sviluppo di centri e servizi che affrontino specificatamente questo tema e si sottolinea sempre di più la necessità di una maggiore formazione da parte degli operatori che vengono in contatto a vario titolo con il problema,
sia direttamente, sia indirettamente.
Pero, ahimè, malgrado il parlare, provare a sensibilizzare ed invitare i nostri politici a dare la giusta importanza ad un simile disaggio sociale, ogni anno i responsabili di questi centri, devono fare delle vere battaglie per ottenere un minimo di finanziamento e riconoscimento per il servizio che offrono.
I tagli delle varie finanziarie si abbattono pesantemente sui centri anti-violenza italiani e in particolare sulle case sicure o case rifugio, luoghi di ospitalità segreti dove le donne che hanno subito abusi, molestie e violenze vengono accolte.
La cifra destinata dal Ministero per le pari Opportunità per i centri e le attività di prevenzione contro la violenza di genere era di 18 milioni di euro, ma dopo la caduta del Governo Prodi i soldi sono stati usati per altri progetti, molto più urgenti secondo il ministro Tremonti. Nel 2011, la presidente Anna Bagnara dichiarava che sulle 58 associazioni che raccoglie la DIRE, 40 erano a rischio chiusura per mancanza di fondi, e gli amministratori della città considerano il problema della violenza sulle donne secondario.
Secondo i dati ISTAT, relativi al 2011  in Italia, quasi un terzo della popolazione femminile, tra i 16 ed i 70 anni, è stata vittima di violenza, almeno una volta nella vita. Di queste, più di un milione sono state stuprate. In 9 casi su 10, lo stupro non è stato denunciato. Una donna su sette ha subito violenza dal marito, fidanzato, compagno. Tolti i violenti e violentatori seriali, stando ai dati ISTAT, è ragionevole stimare che almeno un quinto degli uomini abbia usato violenza, almeno una volta nella vita, nei confronti di una donna.
Dal semplice schiaffo all'omicidio, le donne continuano ad essere vittime di violenza secondo numeri che mal si conciliano con la nostra ambiziosa pretesa di considerarci un popolo civile, e le ultime di cronaca ne sono la prova.
Quello che non riesco a spiegarmi, il come è possibile che nonostante i ministri “donne”, non ci sono lotte per un riconoscimento vero dei diritti delle donne, che subiscono violenze non solo fisiche dentro casa o fuori, ma veri atti discriminatori e ricatti psicologici anche nel mondo del lavoro.
Il nostro paese è un strano paese, poiché si “pubblicizza” i sacri valori della famiglia, l’importanza della donna nel portare avanti la vita, la donna come pilastro della famiglia, ma poi al momento pratico ci si perde in un bicchier d’acqua e per magia la donna perde d’importanza……………….

Emilia