Dal 1975, anno della prima dichiarazione
dell'ONU contro la violenza verso le
donne, ad oggi si sono sviluppate nel mondo ed in Europa politiche e direttive
precise per l'attivazione di servizi e di reti contro questo fenomeno che
procura danni morali e materiali rilevanti alla nostra società.
Emilia
La violenza contro le donne
e i bambini è una violazione dei diritti umani e senz’ombra di dubbio è una di
quelle più frequenti in tutto il mondo. La causa principale dei traumi fisici e
psicologici inflitti a donne e bambini è la violenza commessa all’interno delle
mura domestiche, in famiglia e dal partner.
Dall’inizio degli anni
settanta furono istituiti i primi centri antiviolenza, essi hanno rappresentato
un fattore di vitale importanza nello sviluppo sociale, non solo fornendo a
donne e bambini un rifugio sicuro, ma anche promuovendo una politica di uguali
diritti ed opportunità per uomini e donne, e sostenendo il diritto fondamentale
ad una integrità fisica, emotiva e mentale.
Prima degli anni
‘70 la violenza contro le donne coincideva con la violenza sessuale agita da un
estraneo. Le percosse, i ricatti, gli insulti, le minacce e le privazioni
economiche ai danni della moglie o dei figli venivano considerati normali
conflitti familiari se non addirittura mezzi di giusta correzione, riprovevoli
solo se in eccesso, ma pur sempre fatti privati. Il fenomeno della violenza,
anche se diffuso, restava nascosto tra le pareti domestiche.
Nel 1976 a
Roma le donne occupano uno stabile in via del Governo Vecchio che diventa la
prima casa delle donne e il primo centro antiviolenza in Italia, poi nel 1979
il movimento delle donne presenta una proposta di legge popolare contro la
violenza sessuale e nascono i primi telefoni rosa e le case di accoglienza.
I primi Centri sono nati negli anni ‘80 per
iniziativa e merito di associazioni di donne,
che li hanno progettati e sostenuti con l'impegno professionale gratuito
delle socie volontarie e con l'aiuto economico di tante altre donne. Inizialmente,
questi centri si basano sull’importanza di creare una relazione tra donne e
darsi forza attraverso questa e non vengono pensati come servizi, ma come
luoghi di relazione tra donne in cui attivare forme di ascolto e di mutuo
aiuto.
Nel tempo, il lavoro dei centri attira l’attenzione dell’opinione
pubblica anche sulle forme più sottili tipiche della sfera privata, ma ancora
oggi devono continuamente lottare per la loro visibilità e per il loro
riconoscimento e non riescono ad ottenere finanziamenti dignitosi dalle
istituzioni.
Ci sono stati anche molti cambiamenti
normativi, che riguardano in particolare la violenza sessuale, poiché in Italia
fino al 1996 era in vigore il Codice Rocco, che tra le altre cose, lo stupro in
tale codice veniva considerato un reato contro la morale e non contro il corpo
delle donne.
Nel 1996 con il Ddl del 22 dicembre, viene
cambiata la legge contro la violenza sessuale e nel 2001 si è introdotta una
nuova norma che prevede l’allontanamento del congiunto violento. Inoltre si
stanno mettendo a punto iniziative in favore
dello sviluppo di centri e servizi che affrontino specificatamente questo tema
e si sottolinea sempre di più la necessità di una maggiore formazione da parte
degli operatori che vengono in contatto a vario titolo con il problema,
sia direttamente, sia indirettamente.
Pero, ahimè, malgrado il parlare, provare a
sensibilizzare ed invitare i nostri politici a dare la giusta importanza ad un
simile disaggio sociale, ogni anno i responsabili di questi centri, devono fare
delle vere battaglie per ottenere un minimo di finanziamento e riconoscimento
per il servizio che offrono.
I tagli delle varie finanziarie si abbattono
pesantemente sui centri anti-violenza italiani e in particolare sulle case
sicure o case rifugio, luoghi di ospitalità segreti dove le donne che hanno
subito abusi, molestie e violenze vengono accolte.
La cifra destinata dal Ministero per le pari Opportunità per i
centri e le attività di prevenzione contro la violenza di genere era di 18
milioni di euro, ma dopo la caduta del Governo Prodi i soldi sono stati usati
per altri progetti, molto più urgenti secondo il ministro Tremonti. Nel 2011,
la presidente Anna Bagnara dichiarava che sulle 58 associazioni che raccoglie
la DIRE, 40 erano a rischio chiusura per mancanza di fondi, e gli amministratori della città considerano il problema della violenza sulle donne secondario.
Secondo i dati ISTAT, relativi al 2011 in Italia,
quasi un terzo della popolazione femminile, tra i 16 ed i 70 anni, è stata
vittima di violenza,
almeno una volta nella vita. Di queste, più di un milione sono state stuprate. In 9 casi su 10, lo
stupro non è stato denunciato. Una donna su sette ha subito violenza dal marito, fidanzato,
compagno. Tolti i violenti e violentatori seriali, stando ai dati ISTAT, è
ragionevole stimare che almeno un quinto degli uomini abbia usato violenza,
almeno una volta nella vita, nei confronti di una donna.
Dal semplice
schiaffo all'omicidio, le donne continuano ad essere vittime di violenza
secondo numeri che mal si conciliano con la nostra ambiziosa pretesa di
considerarci un popolo civile, e le ultime di cronaca ne sono la prova.
Quello che non riesco a spiegarmi, il come è possibile che
nonostante i ministri “donne”, non ci sono lotte per un riconoscimento vero dei
diritti delle donne, che subiscono violenze non solo fisiche dentro casa o
fuori, ma veri atti discriminatori e ricatti psicologici anche nel mondo del
lavoro.
Il nostro paese è un strano paese, poiché si “pubblicizza” i
sacri valori della famiglia, l’importanza della donna nel portare avanti la
vita, la donna come pilastro della famiglia, ma poi al momento pratico ci si
perde in un bicchier d’acqua e per magia la donna perde d’importanza……………….
Emilia
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