giovedì 14 giugno 2012


La terra è nata prima dell'uomo,l'amore è nato prima dell'essere, la poesia è nata prima dei poeti

La poesia nasce prima dei poeti. La poesia nasce nel mondo, non prima del mondo, anche se poi, per prima, si affanna a cercare un codice per rendere comprensibile il mondo.
C’è poesia ben prima che si abbia notizia di qualsiasi poeta, se è vero, ed è vero, che essa è il medium più antico che l’uomo conosca per la trasmissione dell’informazione non genetica. E forse era a qualcosa del genere che si riferiva già il Vico, nella sua Scienza nuova, quando discorreva della lingua poeticissima delle origini.
Né la poesia può fare a meno del mondo, a meno di non voler sparire… La poesia nasce insieme alla comunità.

La stessa tradizione lirica, quella di più stretta osservanza petrarchista, non potrà fare a meno di concordare sul fatto che la grande confessione (e l’esercizio di pentimento e autocontrizione) del Canzoniere ha senso soltanto a partire dalla sua dimensione «pubblica», poiché nessuna confessione ha effetto senza un orecchio che ne sia in ascolto, ogni confessione è la messa in scena del peccato, e pretende il suo pubblico.
Se la poesia è nel mondo, insomma, essa non può esserci che a partire dalla sua voce. E dalla capacità che la sua voce ha di catturare l’ascolto della comunità e di fondare un dialogo.

La comunità è fatta di corpi, di presenze, non c’è comunità nella solitudine pur attenta, critica, intelligente del lettore, e questo, ahimè, scava un fossato incolmabile tra narrazione epica e narrazione romanzesca: un fossato politico, che riguarda le prassi (di trasmissione e di ricezione), prima che le poetiche, in cui la forma scelta è già, in sé, scelta di campo ideologica, prima che formale; una pratica in cui l’io non può avere spazio, se non a partire dalla riduzione al suo essere relazione. Il dialogo nasce prima della lingua, come sottolinea Lotman (e Amir Or nella sua ponencia ci ricorda che: «La poesia è dialogo nella sua forma più alta»), o, a dirla con Zumthor: «In poesia non c’è parola senza voce».

Così, il suo scegliere di diventare muta, il suo farsene sin un vanto per qualche secolo, più o meno dal XIX in poi, è stato una sorta di suicidio, la scelta di un eremitaggio radicale che l’Estetica hegeliana, nominando il romanzo nuova epica borghese, di fatto sancisce.
Oggi, invece, le tecnologie digitali di riproduzione, registrazione, sintesi vocale, le possibilità di sharing offerte dalla rete, riportano la poesia ad abitare la voce, a cercare il proprio pubblico, che non è più quello del griot, contenuto nei confini di un villaggio, né quello elitario e iperletterario del consumo silente e borghese, ma quello del villaggio globale, in linea di principio un pubblico di massa. La poesia riscopre assieme le sue radici e l’imprevedibilità di un’oralità nuova e sinora letteralmente inaudita.
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http://www.alfabeta2.it/2011/12/21/la-poesia-prima-dei-poeti/