mercoledì 16 novembre 2011

Una storia tutta italiana










Il Golpe è avvenuto e non ce ne siamo accorti. Senza sparare un colpo, senza carri armati, senza distintivi, senza comunicati ufficiali. Una Giunta di impostori è salita al potere, ma non ha segni di riconoscimento visibili: né occhiali scuri, né divise, né mostrine. Il Governo dei Giusti, lo abbiamo chiamato.
Questo è post-berlusconismo, questa la Terza Repubblica Restaurata. Questo il Governo di fascisti e progressisti, insieme.  Benedetto dalle banche, dalla Chiesa, dalla BCE, dall’FMI, dalla borghesia produttiva. Una massa informe unita dalla fiducia – ancora! – nel neo-liberismo, nel tutto-scorra-e-rimanga-uguale, nell’ avidità nell’ ignoranza delle plebi.

Siamo all’ opposizione di quella che era l’Opposizione. Siamo la resistenza alla «resistenza». Siamo ancora una volta in clandestinità. Il regime pubblicitario, la Giunta-senza-divise è lì al governo,  e non ce ne siamo accorti. Perché ce l’ abbiamo portata noi, senza saperlo: rinunciando ad essere minoranza attiva, delegando alla politica-del-voto, ai guru televisivi la nostra redenzione. Affidandoci alle maggioranze.
Rinunciammo a partecipare alla battaglia decisiva contro il capitale finanziario, che per sopravvivere aveva bisogno di restaurare se stesso, succhiare linfa vitale da quelli che erano sopravvissuti alla Grande Crisi. Per la convinzione di essere la parte sana della Storia, che l’Impero non fossimo noi stessi, per non perdere troppi privilegi accettammo il compromesso. Accogliemmo le truppe europee e liberiste credendole dello stesso nostro colore, ma quel colore era solo una patina di trucco, che copriva un pallore spaventevole.
Il regime adesso è morbido, e funziona meravigliosamente.
La piccola provincia italica. Qui, contemporaneamente alla sua installazione, la Giunta-senza-divise ha proibito:



 1.  Parlare male dell’Esercito, della Polizia e dei Carabinieri;
 2.  Criticare la sacralità della Costituzione e la Magistratura;
 3.   Dire che non commettere reati non basta per vivere sereni;
 4.  Criticare le figure di Giovanni Paolo II, Madre Teresa e Padre Pio;
 5. Rifiutarsi di prendere le distanze da chi lancia oggetti in una manifestazione politica;
 6.  Rinnegare l’atto violento come gesto creativo;
 7.   Rivendicare l’anonimato;
 8.   Chiedere a una persona quanto guadagna;
 9.    Dire quanto si guadagna;
 10. Riscoprire il Mussolini giornalista e farlo studiare nelle scuole;
 11. Preferire San Francesco d’Assisi a qualunque altro santo;
 12. Criticare la figura di Steve Jobs e la Apple;
 13. Non saper usare un prodotto Apple;
 14. Dire che Gianni Agnelli era cocainomane;
 15. Dire che diversi ministri e quasi tutti i deputati della Repubblica sono stati tossicomani;
 16. Dire che il ‘popolo’ non sempre è migliore della classe politica che lo governa;
 17. Ricordare che la servitù può essere volontaria;
 18. Ricordare che Pier Paolo Pasolini aveva scritto non solo ‘Io So’ ma anche un sacco di cattiverie gratuite;
 19. Ricordare che i soldati italiani caduti in Iraq o Afghanistan erano professionisti che avevano scelto consapevolmente il loro mestiere;
 20. Parlare delle mafie come un problema non solo d’ordine pubblico ma anche sociale;
 21. Dire che Garibaldi era stato massone, anticlericale e amico di Bakunin;
 22. Rifiutare l’importanza delle «radici» e delle «tradizioni locali»;
 23. Fare propaganda per l’emigrazione e la residenza all’estero;
 24.  Elogiare il file-sharing, Wikileaks e la pirateria digitale;
 25. Appendere un vessillo pirata sul proprio balcone;
 26. Proporre boicottaggi contro la cultura poliziesca e una moratoria sulla 
       produzione di sbirri e preti nell’ Arte;
 27. Esaltare la nudità e la libido;
 28.  La musica country, il southern-rock americano, il neomelodico napoletano e il folk-pop mediterraneo in generale;
 29. Aiutare un migrante clandestino ad attraversare una frontiera;
 30. Dare ospitalità a un senza-documento;
 31. Sostenere l’imprescindibilità di un reddito garantito per tutti, di una casa per tutti e di un lavoro per tutti;
 32. Rappresentare il proletariato marginale nei grandi media;
 33. Parlare male di «Libera», del mondo della cooperazione e delle ONG in 
       generale;
 34. Sostenere che la ricchezza non vada estesa a tutti ma ridistribuita;
 35. Rubare frasi e concetti senza citare la fonte;
 36. Insegnare Max Stirner e Jack London nelle scuole;
 37. Diffondere i testi di Hakim Bey;
 38. Avere una vita sessuale disordinata e raccontarlo senza cupezza;
 39. Liberarsi della verginità molto precocemente;
 40. Rinnegare la sacralità della famiglia;
 41. Dire di aver fame;
 42. Dichiararsi atei;
 43. Disprezzare la vecchiaia;
 44. Parlare in favore della pornografia, dell’abbassamento dell’età del consenso e del voto;
 45. Dire che il lavoro può diventare una forma di dipendenza non meno pericolosa della droga e del sesso;
 46. Avere un figlio prima dei venticinque anni;
 47. Dire che far bene il proprio dovere può essere pericoloso;
 48. Usare i termini «insurrezione» e «rivolta»;
49. Elogiare la menzogna e il falso;
 50. Rinnegare la sacralità del debito pubblico e dell’Unione Monetaria come strumenti per la coesione tra i popoli.


Ognuno può continuare la sua personale black list come meglio crede. È un gioco che darà nuova linfa vitale agli spiriti ribelli inzuppati nella melassa. Ovviamente la pena per chi infrangerà questi divieti non sarà fisica né economica, ma culturale: l’esclusione dalle maggioranze intellettuali, dalla politica che conta, dalla comunicazione di massa.
Se non sei con noi sei per il ritorno dei lupi, dicono i cantori della Giunta. Ci abbiamo messo vent’anni per arrivare qui. E tu vuoi tornare all’epoca in cui si umiliavano le donne, i giudici, gli onesti?
Tra i motti del nuovo regime c’e’ questo: gli stranieri ci liberarono nel ’43, gli stranieri ci liberarono nel 2011.
Poco male: alla lista della Giunta Tricolore, senza uniforme né divisa, del Governo dei Giusti che perpetua, conserva, insegna questo e quello, inevitabilmente seguirà un’altra lista. Una lista di riconoscimento. Essa circolera’ tra oppositori recalcitranti, tra chi prima era contro qualunque regime ed oggi si ritrova “quasi” ai margini del Potere – perche’ al centro ci si corrompe e al di fuori si impazzisce -; circolera’ tra le minoranze senza simboli né tessere di partito.
Questa lista di riconoscimento servira’, forse,  a non ricadere piu’ nello stesso errore. Sarà composta da ciò che al popolo dei Giusti piaceva prima del Golpe: quando i prodromi del capovolgimento stavano dando segnali chiari, ma i cantori del nuovo fascismo liberista venivano portati sugli scudi e chiamati «eroi», e le grida ribelli piu’ radicali e semplici venivano chiamate «retorica».
Si imparera’, forse, a riconoscere nell’Anti-Regime le stesse malattie, le stesse psicopatologie trasmesse dal Regime. E ci si rassegnera’ allora ad agire in piccoli gruppi, in collegamento tra loro, in lingue diverse e senza l’ansia di piacere e piacersi.
Di mano in mano, tasca in tasca, pezzetto di carta in pezzetto di carta, circoleranno le parole d’ordine, i volti e i simboli che avevano illuso un’intera generazione, che per ingenuità e fiducia aveva affidato ad essi la catarsi sua e di tutti.

Nel tempo dell'inganno universale, dire la verità è un atto rivoluzionario!



Stefano di Benedetto

Il patto di stabilità e crescita




Il Patto di stabilità e crescita (PSC) è un accordo stipulato dai paesi membri dell'Unione Europea, approvato a Dublino il 13/14 1996, inerente al controllo delle rispettive politiche di bilancio, al fine di mantenere fermi i requisiti di adesione all'Unione Economica e Monetaria europea. Esso si richiama agli articoli 99 (Articolo 99, comma 2 “Il Consiglio, deliberando a maggioranza qualificata su raccomandazione della Commissione, elabora un progetto di indirizzi di massima per le politiche economiche degli Stati membri e della Comunità, e ne riferisce le risultanze al Consiglio europeo. Il Consiglio europeo, deliberando sulla base di detta relazione del Consiglio, dibatte delle conclusioni in merito agli indirizzi di massima per le politiche economiche degli Stati membri e della Comunità. Sulla base di dette conclusioni, il Consiglio, deliberando a maggioranza qualificata, adotta una raccomandazione che definisce i suddetti indirizzi di massima. Il Consiglio informa il Parlamento europeo in merito a tale raccomandazione”) e 104 (Articolo 104 comma 1 “Gli Stati membri devono evitare disavanzi pubblici eccessivi”) del Trattato di Roma istitutivo della Comunità Economica Europea (così come modificato con il Trattato di Maastricht e dal Trattato di Lisbona).

Il Patto di stabilità e crescita ha per oggetto la disciplina di bilancio degli Stati membri dell’Unione Europea e fissa in modo perentorio l’obiettivo della politica fiscale di ciascun paese, prescrive l’obbligo di presentare un programma di stabilità, definisce il concetto di disavanzo eccessivo, stabilisce i criteri che gli organi comunitari (Commissione economica, Comitato
economico e finanziario, Consiglio) devono seguire nella valutazione dell’esistenza di un disavanzo pubblico eccessivo, determina la misura delle sanzioni, accelera e chiarisce le procedure di dichiarazione dei disavanzi eccessivi. Ci sono due modifiche significative introdotte col Patto di Stabilità, la prima riguarda l’introduzione di un obiettivo di bilancio di medio periodo, fissato quantitativamente, che indica esplicitamente, a differenza del Trattato di Maastricht, che l’azione fiscale delle autorità governative deve tendere a realizzare un equilibrio di bilancio di medio termine, ovvero un saldo complessivo del conto consolidato della Pubblica Amministrazione pari a zero o positivo in media in un intero ciclo economico e la seconda concerne la ridefinizione del margine di discrezionalità nella valutazione delle politiche fiscali dei paesi dell’Unione monetaria.
La valutazione della disciplina di bilancio avviene sulla base delle informazioni raccolte da ciascun paese nella forma di un programma di stabilità. Il Consiglio, sulla base delle valutazioni della Commissione e del Comitato e delle informazioni fornite dallo Stato esaminato, verifica l’applicazione dei programmi di stabilità e gli scostamenti dagli obiettivi a medio termine e, qualora lo reputi opportuno, formula allo Stato interessato una raccomandazione, che può divenire pubblica qualora lo scostamento persista.
Il disavanzo pubblico è definito «eccessivo», secondo uno dei regolamenti attuativi del Patto, se il superamento del valore di riferimento, definito nel protocollo sui « disavanzi eccessivi» pari al 3 per cento del PIL (il parametro deficit pubblico/PIL pari al 3 per cento assume il significato di limite massimo superabile solo in condizioni eccezionali rigorosamente e dettagliatamente definite),  avviene in mancanza delle condizioni di eccezionalità, temporaneità e limitatezza.
Il Patto di stabilità e crescita introduce una serie di limitazioni significative al potere degli Stati membri nel formulare la loro politica di bilancio. Infatti, esso fissa un obiettivo di saldo di bilancio pubblico molto restrittivo e attualmente non ancora raggiunto nei paesi dell’Unione Monetaria europea. Specifica in modo dettagliato e rigoroso i criteri di valutazione della politica fiscale di un paese, riducendo i margini di discrezionalità che in tale ambito erano attribuiti agli organi comunitari dal Trattato di Maastricht, precisa i tempi e gli adempimenti relativi alla disciplina di bilancio degli organi comunitari e degli Stati membri, dispone di sanzioni piuttosto pesanti per le violazioni della sua regolamentazione.
Il patto di stabilità e crescita può, pertanto, creare difficoltà non trascurabili in molti Stati membri dell’Unione Monetaria che risulta caratterizzata dalla transizione da un saldo pubblico negativo e vicino al parametro di riferimento del disavanzo (pari al 3 per cento) ad uno pari a zero o positivo.
Il Trattato di Maastricht stabilisce che il rapporto tra debito pubblico e PIL non debba superare il valore di riferimento del 60 per cento a meno che tale rapporto non si stia riducendo in misura sufficiente e non si avvicini al valore di riferimento con ritmo adeguato.
Per i paesi con elevato debito pubblico cio’ puo implicare un avanzo primario positivo ed elevato, che richiede una politica fiscale molto restrittiva. Infatti, la dimensione dell’avanzo primario è tanto maggiore quanto più elevato è lo stock e il debito accumulato e quanto più alto è il costo medio del debito pubblico. Un’attenuazione all’orientamento restrittivo della politica di bilancio puo essere ottenuta con una politica di privatizzazioni, che accelera la riduzione del debito pubblico e diminuisce l’ammontare di servizio del debito e quindi riduce l’avanzo primario richiesto per ottenere il pareggio di bilancio.
Negli anni del risanamento finanziario gli obiettivi di riduzione del fabbisogno pubblico sono stati raggiunti in parte attraverso la riduzione degli investimenti pubblici piuttosto che in tagli di spesa corrente, ciò ha comportato effetti negativi sulla crescita equilibrata del sistema economico. Nel Patto di stabilità e crescita non si tiene conto in modo significativo ed esplicito delle spese per lo sviluppo. La mancanza di considerazione delle spese per lo sviluppo può generare contraddizioni tra gli obiettivi del Patto, quelli di convergenza fiscale relativi al rapporto debito pubblico/PIL e quelli di crescita. In condizioni di bassa espansione dell’economia ed in presenza di squilibri strutturali di finanza pubblica il Patto di stabilità e crescita, ponendo limitazioni alla possibilità di accrescere gli investimenti della Pubblica Amministrazione, ostacola le azioni che potrebbero favorire il processo di convergenza del debito pubblico e che richiedono solamente limitati aumenti dell’indebitamento pubblico.
L’ articolo 104 C del Trattato al terzo comma prevede che: «Se uno Stato membro non rispetta i requisiti previsti da uno o entrambi i criteri menzionati, la Commissione prepara una relazione ». La relazione, nel caso in cui lo Stato membro non attua le misure necessarie nel rispetto del Trattato, diventa una raccomandazione al paese in esame per far cessare la situazione entro un determinato periodo.

Da più parti si è sottolineata l'eccessiva rigidità del Patto, perché non promuoverebbe né la crescita né la stabilità, e tanto meno perché esso è stato applicato in modo incoerente( il Consiglio non è riuscito ad applicare le sanzioni in esso previste contro la Francia e la Germania, malgrado ne sussistessero i presupposti). Ci sono  Stati membri che registrano da anni deficit "eccessivi", malgrado gli avvertimenti e le raccomandazioni ricevute, non si sono poi visti applicare alcuna sanzione.
Il Patto in tutte le sue versioni, non funziona perché deriva da una analisi sbagliata delle cause della crisi e  per il difetto di legittimità politica che incombe sulla Commissione Europea.
L'aumento del debito pubblico si è verificato dopo il 2007, quando i governi europei sono stati costretti a fare due cose: salvare il sistema bancario, che aveva accumulato livelli di debito insostenibili e sostenere l'attività economica mantenendo livelli di spesa pre-crisi mentre le entrate diminuivano drasticamente proprio a causa della crisi.
Ma anche se la diagnosi sulla crisi di debito fosse corretta e di conseguenza si dovesse limitare la possibilità per i governi nazionali di creare deficit e debito, il metodo prefigurato nel Patto di stabilità è sbagliato perché è contrario al principio democratico fondamentale secondo il quale non ci può essere tassazione senza rappresentanza.
Spesa e tassazione nell'eurozona sono ancora questioni essenzialmente nazionali. Le decisioni in questi ambiti sono prese dai governi nazionali e votate nei parlamenti nazionali, in quanto sono i politici nazionali che spendono e mettono tasse .
Il problema del Patto è in un corto circuito democratico: le istituzioni europee non incorrono mai in una sanzione politica per le loro decisioni, saranno i governi e i parlamenti nazionali a rispondere di decisioni prese da altri. E ciò è del tutto inaccettabile, sul piano dei principi e sul piano pratico.
La Commissione Europea non ha  la legittimità democratica in senso politico: non può essere punita da un elettorato per decisioni sbagliate nel campo della tassazione.
In più quando un governo nazionale, sostenuto da un parlamento nazionale, entrerà in conflitto con la Commissione europea su materie di spesa e tassazione, sarà quest'ultima a perdere la battaglia.
E non accadrà solo con i piccoli paesi dell'eurozona, ma anche con i grandi. 

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Con la riforma Maroni del 2004 vengono introdotti incentivi per chi rinvia la pensione di  anzianità (un  super bonus in busta paga). Aumenta l’età anagrafica per le pensioni di anzianità e quelle di vecchiaia; solo per le donne  rimane la possibilità di andare in pensione di anzianità a 57 anni di età ma con forti tagli all’assegno pensionistico.

Con la riforma Prodi del 2007 si introducono le cosiddette “quote” per l’accesso alla pensione di anzianità, determinate dalla somma dell’età e degli anni lavorati.
Nel 2009 la quota da raggiungere è 95 (con almeno 59 anni di età), dal 2011 si passa a quota 96 (con almeno 60 anni di età), mentre dal 2013 si sale a 97 (con almeno 61 anni di età);  si  rende inoltre automatica e triennale la revisione dei coefficienti di calcolo della pensione obbligatoria in funzione della vita media calcolata su dati ISTAT.

La Legge 102 del 2009 ha infine stabilito che  dal 1° gennaio 2010, l’età di pensionamento prevista per le lavoratrici del pubblico impiego aumenta progressivamente  fino a raggiungere i 65 anni, invece dal 1 gennaio 2015, l’adeguamento dei requisiti anagrafici per il pensionamento deve essere collegato all’incremento  della speranza di vita accertato dall’ISTAT e validato dall’EUROSTAT.


Dopo queste brevi delucidazioni date sul sistema pensionistico in Germania ed in Italia possiamo già dire che nel nostro paese, il discorso pensioni forse non troverà mai pace. Con il passar del tempo e con gli studi che stiamo approntando, per capire tutti i rivoli di questo “ pozzo di s. patrizio “ tipicamente italiano, possiamo affermare senza timor di smentita che oltre all’incostituzionalità di questo perpetuar di manovre su un sistema che invece sin dall’inizio dovrebbe essere molto semplice e chiaro  ( in effetti è come un contratto assicurativo di tipo Vita che dovrebbe scattare al primo giorno di lavoro e come tutti sappiamo non si possono cambiar contratti in corso d’opera ) ci sono molte falle che dimostrano che la pensione d’anzianità ( e con i suoi continui tagli etc etc ) serva solo a coprire altro. Questo che diremo ora, pensiamo possa bastare non per avvalorare la nostra tesi, bensi per darne fondatezza, ed ipse dixit, l’Inps sulle pensioni d’anzianità sta in attivo, ben sapendo però che lo stesso ente vien usato dallo stato per ottenere i fondi per coprire tutte le sue falle, perché ad aeternum dovranno pagare sempre i soliti?.
Ora ci viene chiesto di andare in pensione a 67 anni perché cosi fan tutti….ma proprio tutti? E come si organizza un azienda con diversi dipendenti over 60?
Mah………resta il fatto che i nostri governanti hanno  pensioni vitalizi etc etc ( senza voler quantificarle altrimenti dovremmo scrivere un libro solo sull’argomento ), e non vogliono sentir ragioni per farne a meno di un centesimo delle loro entrate, invece con lo sguardo neanche tanto basso osano a noi chiedere di fare sacrifici, ma non li abbiamo già fatti sudando e guadagnando onestamente il nostro diritto alla pensione?
Perché la pensione è un nostro diritto e noi non lo molleremo MAI MAI MAI MAI………………………………………………………………………………………………….




Emilia Sirbu e Stefano Di Benedetto