beni comuni

Scorci Romani - Italia Nostra

un'escursione nell'area nordorientale della provincia romana, in parti poco note nonostante la relativa vicinanza della Capitale, ricche di bellezze storiche e ambientali

Resoconto aggiornato su dismissioni e valorizzazioni del patrimonio pubblico

Le disastrose privatizzazioni degli anni 2000-2001- profeticamente intitolate Scip1 e Scip2! - si sono risolte con una perdita secca per lo Stato e ingenti guadagni per pochi. Ora è imminente una nuova ondata di dismissioni di beni pubblici, che vengono fatte passare per necessarie con l'urgenza di abbattere il debito.

A quanto ammonta il patrimonio immobiliare pubblico?

Secondo il censimento sugli immobili delle Amministrazioni Pubbliche avviato lo scorso anno per la redazione del ''Rendiconto patrimoniale",  a prezzi di mercato il patrimonio immobiliare dello Stato vale tra i 250 e 368 miliardi di euro. La maggior parte non appartiene direttamente allo Stato. ma  agli Enti locali, Regioni, Province, Comuni e ad altri enti pubblici non territoriali.
Secondo altre stime invece, da una nuova stagione di alienazioni,  si potrebbero ricavare anche 700 miliardi, forse 900. Ma la verità è che, a 150 anni compiuti dall’Unità d’Italia, nessuno sa davvero quanto valga il patrimonio pubblico nazionale.


Infatti non esiste ancora un vero censimento completo dei beni pubblici. Il 31 di marzo 2011 si è chiusa una prima parte del censimento dei beni delle amministrazioni, che ha permesso di rilevare finora 530mila immobili per 222 milioni di mq e quasi 760mila terreni per circa 13 miliardi di metri quadrati. Ma questi dati sono incompleti perché solo un’amministrazione su due ha risposto al censimento, esattamente il 53%, e spesso in modo incompleto o incongruo.
Esiste per ora solo il Conto generale del patrimonio, un documento redatto dalla Ragioneria generale dello Stato, aggiornato ogni anno. Ma le informazioni che contiene sono aggregate e non immediatamente fruibili.
 Da qui il rischio di vendere “asset” dello Stato senza neanche un quadro d'insieme completo e chiaro.

 Un altro problema relativo al patrimonio pubblico immobiliare  è costituito dal cosiddetto "Federalismo demaniale": oggi non esiste più solo il Demanio statale. Con Decreto Legislativo 20 maggio 2010, n. 85, i beni del demanio marittimo e idrico, gli aeroporti di interesse regionale o locale, le miniere e gli altri beni immobili dello Stato e i beni mobili ad essi collegati sono stati attribuiti a Regioni, Province e Comuni. (Per maggiori particolari sui limiti e le modalità di questo trasferimento, si veda a parte  l'apposito documento).
Con il federalismo demaniale, nonostante i molti vincoli che per fortuna rimangono, diventa sempre più difficile controllare l'uso che verrà fatto di questo patrimonio pubblico, una volta trasferito agli enti locali e quindi affidato alle amministrazioni locali. Questo potrà rendere tante dismissioni molto più facili e inavvertite.

Oggi però, come vedremo, sotto l'incalzare del debito e grazie al maxiemendamento della finanziaria, lo Stato sta cercando di riprendersi parte  dei beni che aveva ceduto agli enti locali con il federalismo demaniale, purtroppo non per tenerseli, ma per dismetterli immediatamente, nel caso gli enti locali non avessero intenzione di farlo.

Un secondo, grave  problema è costituito dall'art. 10, comma 18 della finanziaria (Legge 111 del 15/07/2011), che è passato inosservato, mentre prevede che, a richiesta del creditore, un Ministero possa pagare i suoi creditori non in denaro, ma con un bene demaniale, dietro parere favorevole (riguardo alla pura congruità economica) dell'Agenzia del demanio!

Venendo poi alle dismissioni dirette, nel maxiemendamento alla finanziaria si è decisa la vendita di una grossa tranche di beni immobili dello Stato e degli altri enti pubblici (esclusi gli enti locali), per destinarli direttamente alla riduzione del debito.
 Ancora nel settembre scorso, al seminario indetto da Tremonti per illustrare  il mondo finanziario la sua prossima politica, sembrava che le vendite avrebbero dovuto essere contenute: dalle cessioni  si prevedeva di ricavare per la riduzione diretta del debito 35-40 miliardi, di cui 25-30 miliardi dalla vendita degli immobili e altri 10 dalla cessione dei diritti per le emissioni inquinanti (CO2). Il grosso dei ricavi avrebbe dovuto venire invece dalla valorizzazione dei beni demaniali, oggi inutilizzati e scarsamente redditivi, da farsi tramite società di gestione a capitale misto.  il 30 settembre Laura Serafini scriveva su "Il sole-24 ore"*: "un punto fermo, comunque, da ieri è chiaro: oggi non si privatizza nulla, non conviene. Ma se si riuscisse davvero a mettere a reddito questi asset, solo con l'efficienza già si potrebbero pagare, nel medio periodo, gli interessi sul debito pubblico".

Successivamente, le cose sono cambiate in peggio. Sotto la pressione dei mercati è stato varato il maxiemendamento della finanziaria che agli art. 6, 7 e 8 ha varato con decisione le dismissioni, giocando su tre tavoli:
a) beni immobili dello Stato e degli enti pubblici non territoriali (caserme, carceri, uffici, stazioni ecc.)
b) terreni agricoli
c) beni immobili degli enti locali

A) IMMOBILI
I beni di cui al punto a) saranno conferiti a società o fondi d'investimento non ancora precisati, (non si sa se a partecipazione pubblica o no); queste società o fondi d'investimento saranno quotate in borsa, metteranno all'asta azioni o quote da cedere al migliore offerente, e impiegheranno come meglio riterranno i beni immobili ricevuti.

L'ammontare dei beni da dismettere è sconosciuto; una lista  non è stata ancora compilata: si sa solo che è esclusa l'edilizia residenziale, già oggetto di massicce dismissioni negli anni passati. Secondo il maxiemendamento un primo stock dovrà essere individuato entro il 30 aprile 2012. Appena uscirà questa lista si potrà sapere  quali siano gli immobili di particolare pregio culturale e paesistico in pericolo e bisognerà evitare ad ogni costo che lo Stato o gli enti pubblici non si ritrovino poi a dover prendere in affitto dai privati quegli stessi immobili, spendendo molto di più, come è successo nella cartolarizzazione precedente.
Ad esempio esistono beni dello Stato situati all'estero, già individuati,  che saranno venduti direttamente a trattativa privata anche in deroga al parere della Commissione immobili del Ministero degli esteri. Potrebbero quindi esserci ambasciate o simili che poi dovremo prendere in affitto. Qui il pericolo di vendita  è immediato.

Non si sa quale percentuale dell'ancora immenso patrimonio pubblico verrà dismesso, né quanta parte sarà destinata alle vendite e quanta alle valorizzazioni. Il maxiemendamento non lo dice. Nella lettera di Berlusconi alla UE del 26 ottobre scorso
però si leggeva di "un piano di dismissioni e valorizzazioni del patrimonio pubblico che prevede almeno 5 miliardi di proventi all'anno nel prossimo triennio." Non è ancora stato stabilito nemmeno entro che data un decreto ministeriale renderà operativo il trasferimento dei beni e ne stabilirà tutte le modalità.
I proventi netti della cessione non andranno a finire nel calderone delle entrate, ma sono direttamente destinati alla riduzione del debito pubblico, vanno cioè direttamente al fondo per l'ammortamento del debito pubblico oppure al Demanio, che acquisterà sul mercato titoli di Stato e se li terrà fino a scadenza.

A quanto è dato di capire, le società di investimento che otterranno questi beni potranno decidere che uso farne, se venderli o invece semplicemente gestirli mettendoli a frutto.
E' chiaro poi che gli esiti potranno essere molto diversi a seconda se le società in questione saranno  private oppure a capitale misto o interamente pubblico!

B) TERRENI AGRICOLI
Lo Stato, secondo i dati del censimento dell'agricoltura svolto l'anno scorso, risulta proprietario di 338.127,51 ettari di terreno coltivabile, e lo Stato spera di ricavarne  6 miliardi.
La Coltivatori Diretti hanno proposto di venderli ai "giovani agricoltori", e la misura avrà l'effetto immediato di abbassare il valore dei terreni agricoli; la maxifinanziaria ha disposto la vendita di terreni coltivabili  - da individuare entro il  30 marzo 2012 con DM - a chiunque, (con prelazione per i giovani imprenditori), e per di più i lotti di valore inferiore ai 400.000 euro andranno a trattativa privata. Potranno essere individuati anche terreni attualmente appartenenti al patrimonio indisponibile, e ipso facto saranno trasferiti a quello disponibile! Si noti che questi terreni potranno essere venduti anche se si trovano in comprensori di parchi naturali, previo consenso dell'ente gestore - consenso non troppo difficile da ottenere, dato che questi incarichi sono politicamente lottizzati. E' previsto che i terreni possano vedere il loro valore incrementarsi per effetto di eventuali (= SICURE) modifiche di destinazione, da agricola a urbanistica, anzi lo Stato prevede fin d'ora di incamerare il 75 % di questi incrementi di valore.

Qui dobbiamo aspettarci ulteriori cementificazioni e scempio del territorio, anche perché in Italia in molte regioni l'agricoltura non è redditizia per la concorrenza internazionale ed esistono in tutte le regioni distese di terreni non più coltivati!

C) Immobili degli enti locali (Regioni, Province, Comuni)
Dopo avere trasferito gran parte del proprio demanio agli enti locali con la recentissima introduzione del "Federalismo demanialeale", lo Stato ora ci ripensa e tende a riprendersi con l'altra mano una fetta dei beni degli enti territoriali, per destinarli all'abbattimento del debito. Con la finanziaria gli Enti locali sono precettati a concorrere per la loro parte a questa emergenza nazionale, e sono incoraggiati a farlo conferendo una parte del loro patrimonio immobiliare alle predette società di cui sopra al punto A.
La misura in cui ciascun ente sarà tenuto a contribuire - in relazione al reddito medio pro capite - non è stata ancora stabilita, e sarà fissata con decreto del Ministero del Tesoro: in questo modo comunque nei fondi di dismissione immobiliare finirà un'altra enorme quantità i beni sottratti alla collettività.
Nel frattempo però molti enti pubblici, territoriali e non, hanno già spontaneamente messo in vendita gran parte dei propri beni per fare cassa (le vendite sono in corso!): ad es. i comuni di Milano e Venezia, Trenitalia, l'INPDAP, l'ENI.

Ora l'attuazione di questo piano è in mano al governo Monti. Che ha diversi margini di manovra per attuare  questa finanziaria, e  deve ancora  individuare i beni da trasferire e decidere se trasferire a un fondo d'investimento o una società, o più società, e quali: se nuove o preesistenti, se esclusivamente private o partecipate dallo Stato, e in che misura.
Per tutte queste operazioni intanto la finanziaria ha messo a disposizione 1.000.000 di euro a partire dal 2012 !

Per i beni che verranno messi in vendita, i pericoli sono evidenti: cessioni a basso prezzo, scarse entrate per lo Stato ed enormi profitti per gli acquirenti. Se poi, come è avvenuto per le precedenti privatizzazioni, le quote saranno cedute in blocco o a tagli grossi, solo i grandi investitori con grandi capacità finanziarie - come le mafie - potranno acquisirle e non certo i piccoli risparmiatori.
Esiste poi il problema delle cosiddette "valorizzazioni".

A prima vista non ci sarebbe niente di male: in questo caso infatti la proprietà resta allo Stato Tutti sappiamo per esempio che per le concessioni delle spiagge lo Stato attualmente chiede percentuali irrisorie, mentre i concessionari privati ne ricavano lauti profitti.
Fare in modo che lo Stato ne ricavi di più sarebbe cosa sacrosanta:  ad es. oggi si calcola  gli immobili dello Stato hanno attualmente un valore di 72 miliardi e  gli rendono lo 0,1%! L'obiettivo di Tremonti era di arrivare al 6%. Nel caso degli enti locali, il valore degli immobili è di 349 miliardi, con un rendimento pari allo 0,5%, che il governo precedente voleva portare al 6%. La maggior parte del patrimonio immobiliare pubblico oggi è in mano agli enti locali ed è amministrato spesso in modo assai poco redditizio (chi non ha sentito parlare ad es. gli appartamenti di lusso di proprietà dei Comuni affittati a parenti e amici dei politici per quattro soldi?).
Sotto la stretta del bisogno di ridurre il debito, Tremonti si era deciso a riordinare e mettere a frutto tutto il patrimonio,  non solo gli immobili, quindi, ma le concessioni, le partecipazioni, ecc. , per ricavarne di più. Pare che il patrimonio pubblico degli enti locali sia diviso in una miriade di società controllate e partecipate, con ingenti costi per spese di ammistrazione e gestione. Accorpando queste società, e riducendo conseguentemente consiglieri e amministratori si potrebbe risparmiare molto: Tremonti si proponeva di sollecitare presso gli enti locali fusioni e chiusure di società, con conseguenti risparmi.

Ma anche sul versante delle valorizzazioni si profilano gravi rischi.  Il primo riguarda beni affittati a prezzi bassi (o dati in comodato gratuito) non per incuria o per favorire privati, ma per incoraggiare servizi sociali e culturali. Se per esempio un dato palazzo è stato concesso a un centro sociale o viene dato in uso dal Comune a un altro ente di pubblica utilità, pretendere che quell'immobile dia un rendimeno conforme al mercato significherebbe chiudere il centro sociale o far indebitare un ente pubblico per arricchirne un altro. Quindi qui la verifica va fatta al dettaglio, immobile per immobile, verificando l'uso sociale che ne viene fatto e non solo il reddito che se ne ricava.
C'è poi il rischio di valorizzare dei beni allo scopo di farli diventare appetibili per investitori privati, stranieri e non (molti attualmente non lo sono). Insomma, come si legge nello stesso articolo citato, si tratterebbe di valorizzare "beni, come caserme, stazioni e quant'altro, che in prospettiva possano essere passibili di forme di cessione o di cartolarizzazione". E quindi in prospettiva qui dobbiamo stare molto attenti, per evitare che un bene venga prima reso appetibile a spese dello Stato e poi dismesso.

C'è infine un altro rischio: qualcuno ventila la possibilità di "una patrimoniale sui grandi patrimoni, a fronte della quale lo Stato potrebbe offrire ai contribuenti facoltosi quote di quei fondi". Cioè in questo caso il prelievo della patrimoniale non sarebbe una tassa e basta, ma in cambio di essa si darebbero ai grandi contribuenti quote del Fondo di investimento pubblico, destinate a diventare redditizie per i contribuenti medesimi, ossia restituendogli con la mano sinistra quel che gli si preleva con la destra e creando nuovo debito pubblico!

Si tratta per ora solo di ipotesi, non troppo remote, sulle quali bisogna vigilare.
In ogni modo le valorizzazioni, così come sono state concepite dal passato governo e da quello attuale puntano semplicemente a ricavare un alto reddito, riservando di fatto l'uso di questi beni a chi può pagare di più, mentre noi proponiamo di valorizzarle in modo che ne venga garantito un uso sociale. Le caserme ad es, invece di diventare centri commerciali possono essere convertite in centri di accoglienza per stranieri o in case popolari, e così via.
E non si capisce perché a valorizzare questi beni pubblici non possa essere lo Stato stesso, direttamente, invece di passare per la mediazione di una società a capitale misto o addirittura privata - il che vuol dire che i privati dovranno ricavarci i loro profitti. E' sempre la stessa filosofia per cui i servizi pubblici devono per forza essere affidati a privati - che devono ricavarci un profitto - altrimenti non sarebbero efficienti!
A favore di questo dogma liberista si cita spesso il fatto che le aziende pubbliche sono storicamente state occasione di clientelismo e lottizzazione politica, di sprechi, corruzione ecc. Ma l'autogestione diretta dei beni comuni da parte dei cittadini non è affatto soggetta a questi rischi, ed è la risposta vincente a chi preme per la privatizzazione selvaggia del nostro Paese.

Il tempo stringe e dobbiamo attrezzarci e organizzarci. Inizialmente il governo prevedeva di mettere a bilancio le dismissioni nel 2015, mentre la riforma complessiva doveva andare a regime nel 2020.
Ora invece è prevedibile che i tempi saranno accelerati al massimo.

Noi cittadini possiamo a questo punto possiamo proporci i seguenti obiettivi: non solo
- impedire la dispersione e la privatizzazione del patrimonio pubblico, specialmente quello di maggior valore;
- promuovere e garantire la loro fruizione da parte della collettività
ma soprattutto:
c) impiegare il patrimonio immobiliare per creare lavoro per disoccupati e precari e rimettere in moto l'economia,
quindi
pretendere che la valorizzazione venga prioritariamente progettata e realizzata da cooperative di giovani per scopi di utilità sociale.

Su questo c'è da lanciare da parte nostra un vero e proprio progetto di valorizzazione alternativa, coinvolgendo movimenti, associazioni, sindacati.

* http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2011-09-30/partita-mani-enti-locali-110430.shtml?uuid=Aaro0n8D

un po' di BIBLIOGRAFIA:
"Il timore che si avverte è che gli enti locali vedano questa riforma più che come storica occasione per l'assunzione di dirette responsabilità nella gestione dei beni pubblici ubicati nei rispettivi territori, come una occasione insperata di far cassa in un momento di eccezionale scarsità di risorse trasferite e di accresciute esigenze di assistenza sociale in ragione della non sopita crisi congiunturale. UNA NUOVA TRAGEDIA DELL'INTERESSE COMUNE PER I BENI PUBBLICI. Il timore è che la possibilità di dismissione dei beni del demanio statale trasferiti rappresenti una non rinunciabile occasione di spesa per gli enti territoriali e ciò non tanto (o meglio non solo) per la spesso comprovata inadeguatezza delle istituzioni locali nell'opera di valorizzazione dei beni che già sono nella loro diretta titolarità, ma per assai concrete esigenze di bilancio. Parafrasando le parole del Conte della Gherardesca: <>" (Aristide Police, "IL FEDERALISMO DEMANIALE: VALORIZZAZIONE NEI TERRITORI O DISMISSIONI LOCALI", in Giornale di Diritto Amministrativo, 12/2010).                                                                                                                                                                                                                  MANIFESTO PER I BENI COMUNI EUROPEI                                                                                                                                                   Una proposta, partita da un gruppo di cittadini tra cui Claudia Bettiol, interessante ma tutta da discutere


http://www.europeancommongoods.org/ita.php
La crisi che colpisce l'economia mondiale e di conseguenza l'euro in questi mesi richiede una risposta radicalmente diversa da quelle attualmente programmate e realizzate. Il modo in cui l'Europa, i suoi governi e gli elettori si occuperanno della crisi greca creerà un precedente importante per la prossima crisi ed i connessi rischi di default nazionali.

Le decisioni probabili del governo greco, praticamente lasciato solo, come altri governi in simili crisi di debito, si basano sulla massiccia vendita di beni pubblici a compratori non meglio identificati in modo da raccogliere il denaro necessario per garantire prestiti ulteriori.

Questa decisione è sbagliata non solo sul piano politico, ma anche in termini pratici. Politicamente abbiamo avuto ampie dimostrazioni nel quarto di secolo passato che la deregulation e le privatizzazioni non sono sinonimo di efficienza, investimenti, modernizzazione e competitività.

Al contrario, c'è un lungo elenco in Europa e nel mondo, di clamorosi fallimenti e di distruzione di valore da parte di quelle stesse forze di mercato che erano invece state celebrate come portatrici di soluzioni durature a tutti i problemi dell'economia nazionale e internazionale.

L'ultima crisi economica e finanziaria del mercato globale ha dimostrato oltre ogni dubbio che i mercati da soli non sono in grado di governarsi, che non esiste la mano invisibile che bilancia i diversi interessi e che il denaro pubblico ha salvato gli stessi oligopoli che in teoria non avrebbero dovuto esistere in un ambiente competitivo sano, favorito da un mercato liberalizzato. Ma come non ci sono pranzi gratis, così non esiste un mercato deregolato che pensi al bene comune.

Noi crediamo fortemente, ispirati da una visione politica ed etica nonché dall’esperienza pratica, che le politiche pubbliche non possono solo limitarsi a regolamentare il neolaissez-faire, a sostenere interessi privati in nome di una presunta competitività nazionale o limitarsi a ridistribuire un reddito in diminuzione.

Le politiche pubbliche devono tutelare gli interessi pubblici , sotto controllo democratico, il che significa che hanno il compito di promuovere beni pubblici e investimenti a lungo termine, sostenuti da una gestione efficiente e da una tassazione sensata che tenda al bene della società.

Invece di lasciare che le proprietà pubbliche della Grecia siano svendute a prezzi ridicoli a grandi potenze, che hanno un forte interesse a controllare i mercati per rinforzare la loro competitività (fatalmente a discapito dei nostri interessi), o ad investitori privati che sono totalmente irresponsabili verso la società, gli elettori e gl’interessi nazionali, proponiamo di utilizzare in modo più efficace il denaro pubblico che abbiamo già impegnato nei prestiti della UE e del Fondo Monetario Internazionale, oltre che nelle misure di sostegno della BCE.

I beni pubblici greci, come quelli di altri paesi a rischio, dovrebbero essere venduti ad un raggruppamento economico europeo, pubblico o partecipato da quota di maggioranza pubblica, in modo da ottenere il denaro necessario direttamente da governi e istituzioni internazionali.

Questo permette di proteggere due interessi vitali a livello europeo e nazionale:

* I beni saranno rimborsabili da parte del paese interessato nei tempi necessari ed a condizioni ragionevoli o produrranno profitti proporzionali ai governi, ma la loro gestione avverrà tenendo conto delle esigenze economiche e sociali. Se esistono i fondi sovrani, non si vede perché imprese pubbliche, adeguatamente gestite e vigilate, siano inconcepibili.

* I beni rimarrebbero patrimonio economico e industriale europeo, invece di essere dispersi nel mondo, soggetti ad futuro molto incerto. L'Europa ha creato una formidabile entità integrata, soprattutto a livello economico: sarebbe un suicidio se, nei momenti di massima emergenza, l'Europa si rifiutasse di attuare una politica industriale di semplice buon senso.

dal gruppo Italia in svendita