sabato 12 novembre 2011

Le pensioni , ovvero come pagar per 40 anni un diritto che non avremo mai...



La pensione è, come tutti sappiamo, una forma d’assicurazione pubblica, essa dovrebbe e sottolineo dovrebbe sfociare alla scadenza in una  forma  di remunerazione post lavorativa ovvero una forma di premio rateizzato ( riprendendo questo dire dai parametri delle assicurazioni private ) per tutti i lavoratori, impiegati, etc etc con una percentuale certa già al momento del primo versamento .
I contributi sono i soldi che i lavoratori e/o i loro datori di lavoro devono versare obbligatoriamente per il sistema previdenziale.
Grazie a questo principio eticamente giusto, in fondo, a quanti di noi è spesso capitato di pensare: “Ah…..quando sarò in pensione, farò tanti viaggi, e tutte quelle cose che non ho fatto in 40 anni di vita lavorativa….”
Però, c’è un però, il tamtam sulle pensioni oggi  a livello europeo, e soprattutto in italia in qualche modo ci mette una pulce nell’orecchio ( vista la situazione già abbastanza scarna ) e considerando che nell’ultima manovra del governo l’argomento pensioni viene di nuovo  toccato, ci sorgono parecchi punti interrogativi. Uno di questi, che sicuramente interessa anche la maggior parte delle persone, è come funziona il sistema previdenziale negli altri paesi del vecchio continente ed in particolar modo in Germania. Questo perché? Siamo sicuri che a parità di età le pensioni successivamente prese sono della stessa percentuale contributiva ? E oltre, tutte le facilitazioni date ai pensionati negli altri paesi son ugualmente date in italia ? ma bando alle ciance cominciamo……………………………………………………….

GERMANIA

La Germania è il primo paese ad avere adottato un sistema previdenziale pubblico. Il regime dell’assicurazione sociale obbligatoria è stato infatti introdotto sul finire dell’800 ed esteso all’intera popolazione lavorativa nel 1972. Il suo funzionamento poggia sul principio della ripartizione, che prevede il finanziamento delle pensioni con le contribuzioni correnti.

L’età pensionabile, sia per gli uomini sia per le donne è di 65 anni con un periodo di contribuzione minima pari a 5 anni (63 per gli invalidi gravi); l’età effettiva si riduce però a 61,1 anni per le donne e a 61,4 per gli uomini. Non è previsto alcun limite superiore d’età per il ritiro dal lavoro, al contrario, ritardare il pensionamento dopo i 65 anni consente di guadagnare un incremento del 6% per ogni anno di lavoro in più. Resta comunque la possibilità di un prepensionamento a 60 anni per le donne e 63 per gli uomini: in tal caso, la pensione viene ridotta del 3.6% per ogni anno.
L’età del pensionamento crescerà a partire dal 2012 lentamente fino al 2029 per passare da 65 a 67 anni. La recente riforma pensionistica ha introdotto un meccanismo innovativo di aggiustamento dei benefici pensionistici che tiene conto dell’attesa di vita e delle condizioni del mercato del lavoro (le aziende optano per un rimodellamento dei  processi produttivi per adattarli alle esigenze degli operai, la cui età è in costante aumento, visite mediche, fornire abbigliamento speciale e organizzare seminari di aggiornamento, etc).

Il sistema si basa su pilastri diversi, la parte principale è rappresentata da programmi pensionistici pubblici.

I Pilastro: Il sistema pensionistico tedesco è basato su una pluralità di fondi, gestiti o controllati dallo Stato, e obbligatori per tutti i lavoratori: gli schemi pensionistici di base variano a seconda della categoria di lavoratori e dei settori in considerazione. Il sistema è finanziato a ripartizione con un contributo pari a circa il 19,10% della remunerazione mensile lorda ed i contributi sono per metà a carico del lavoratore e per metà a carico del datore di lavoro. Tra i maggiori paesi europei, la Germania è l’unico che prevede l’indicizzazione delle pensioni ai salari monetari, anziché ai prezzi; circostanza, questa, che assicura una sostanziale invarianza nella distribuzione del reddito tra lavoratori e pensionati. La rendita vitalizia erogata dal fondo sommata al trattamento pubblico di base rappresenta all’incirca il 75-80% dell’ultima retribuzione.

II Pilastro: è rappresentato da pensioni integrative e vengono finanziati attraverso il metodo della capitalizzazione, sono per la maggior parte a prestazioni definite e prevedono un indicizzazione delle pensioni. La costituzione dei piani previdenziali avviene attraverso accordi tra rappresentanze sindacali, tra il sindacato dei lavoratori ed il datore di lavoro. . L’adesione è in linea di massima volontaria (si tenga presente che il 10% del reddito totale degli anziani proviene dal secondo pilastro) ed estesa a tutti i lavoratori dipendenti e autonomi assoggettabili all’assicurazione sociale obbligatoria, compresi quelli in congedo parentale, nonché coloro che prestano servizio militare o che percepiscono l’indennità di disoccupazione.

III Pilastro: è composto essenzialmente da polizze vita, a condizione che il piano previdenziale individuale sia di almeno dodici anni. I premi di polizza sono interamente deducibili. Rappresenta circa il 7% del totale del reddito pensionistico



ITALIA

La storia delle pensioni, nel nostro paese, comincia più di cento anni fa. Le leggi istitutive dell’assicurazione contro l’invalidità e la vecchiaia, si collocano tra la fine del XIX e l’inizio del XX sec. Sono leggi che rappresentano una delle più importanti conquiste della classe lavoratrice, ma al tempo stesso un momento fondamentale nella costruzione del nucleo originario del welfare state. 

Nel nostro Paese, il sistema pensionistico pubblico è strutturato secondo il criterio della ripartizione, ciò significa che i contributi che i lavoratori e le aziende versano agli enti di previdenza vengono utilizzati per pagare le pensioni di coloro che hanno lasciato l’attività lavorativa. Per far fronte al pagamento delle pensioni future, dunque, non è previsto alcun accumulo di riserve.  Per far fronte a questa situazione, sono state attuate una serie di riforme tutte orientate a riportare sotto controllo la spesa pensionistica.
Il sistema di rivalutazione delle pensioni in pagamento, non più collegato anche alla dinamica dei salari reali (cioè al netto dell’aumento dei prezzi al consumo) ma soltanto all’andamento dell’inflazione. Sono stati ritoccati i requisiti minimi per ottenere la pensione sia con riguardo all’età anagrafica sia all’anzianità contributiva.

L’età pensionabile varia per via delle diverse riforme a partire dai anni 90.

Fino a dicembre del 1992: il lavoratore iscritto all’INPS riceveva una pensione il cui importo era collegato alla retribuzione percepita negli ultimi anni di lavoro.  Con una rivalutazione media del 2 per cento per ogni anno di contribuzione, per 40 anni di versamenti, veniva erogata una pensione che corrispondeva a circa l’80 per cento della retribuzione percepita nell’ultimo periodo di attività lavorativa. Inoltre, la pensione in pagamento veniva rivalutata negli anni successivi tenendo conto di due elementi fondamentali:  l’aumento dei prezzi e l’innalzamento dei salari reali.

Con la riforma Amato del 1992, si innalza l’età per la pensione di vecchiaia e le retribuzioni prese a riferimento per determinare l’importo della pensione vengono rivalutate all’1 per cento, e la rivalutazione automatica delle pensioni in pagamento viene limitata alla dinamica dei prezzi. La riforma Amato ha dato il via a una riduzione del grado di copertura pensionistica rispetto all’ultimo stipendio percepito.

Con la riforma Dini del 1995 dal sistema retributivo si è passati a quello contributivo (retributivo = la pensione corrisponde a una percentuale dello stipendio del lavoratore; contributivo = l’importo della pensione dipende
dall’ammontare dei contributi versati dal lavoratore nell’arco della vita lavorativa)
Quest’ultimo criterio di calcolo comporta una consistente diminuzione del rapporto tra la prima rata di pensione e l’ultimo stipendio percepito; per i lavoratori dipendenti con 35 anni di contributi, la pensione corrisponde a circa il 50-60 per cento dell’ultimo stipendio,e si rivaluta in base al tasso dell’inflazione.

Con il Decreto Legislativo 47 del 2000  viene migliorato il trattamento fiscale per coloro che aderiscono a un fondo pensione e sono introdotte nuove opportunità per chi desidera aderire in forma individuale alla  previdenza complementare.

Con la riforma Maroni del 2004 vengono introdotti incentivi per chi rinvia la pensione di  anzianità (un  super bonus in busta paga). Aumenta l’età anagrafica per le pensioni di anzianità e quelle di vecchiaia; solo per le donne  rimane la possibilità di andare in pensione di anzianità a 57 anni di età ma con forti tagli all’assegno pensionistico.

Con la riforma Prodi del 2007 si introducono le cosiddette “quote” per l’accesso alla pensione di anzianità, determinate dalla somma dell’età e degli anni lavorati.
Nel 2009 la quota da raggiungere è 95 (con almeno 59 anni di età), dal 2011 si passa a quota 96 (con almeno 60 anni di età), mentre dal 2013 si sale a 97 (con almeno 61 anni di età);  si  rende inoltre automatica e triennale la revisione dei coefficienti di calcolo della pensione obbligatoria in funzione della vita media calcolata su dati ISTAT.

La Legge 102 del 2009 ha infine stabilito che  dal 1° gennaio 2010, l’età di pensionamento prevista per le lavoratrici del pubblico impiego aumenta progressivamente  fino a raggiungere i 65 anni, invece dal 1 gennaio 2015, l’adeguamento dei requisiti anagrafici per il pensionamento deve essere collegato all’incremento  della speranza di vita accertato dall’ISTAT e validato dall’EUROSTAT.


Dopo queste brevi delucidazioni date sul sistema pensionistico in Germania ed in Italia possiamo già dire che nel nostro paese, il discorso pensioni forse non troverà mai pace. Con il passar del tempo e con gli studi che stiamo approntando, per capire tutti i rivoli di questo “ pozzo di s. patrizio “ tipicamente italiano, possiamo affermare senza timor di smentita che oltre all’incostituzionalità di questo perpetuar di manovre su un sistema che invece sin dall’inizio dovrebbe essere molto semplice e chiaro  ( in effetti è come un contratto assicurativo di tipo Vita che dovrebbe scattare al primo giorno di lavoro e come tutti sappiamo non si possono cambiar contratti in corso d’opera ) ci sono molte falle che dimostrano che la pensione d’anzianità ( e con i suoi continui tagli etc etc ) serva solo a coprire altro. Questo che diremo ora, pensiamo possa bastare non per avvalorare la nostra tesi, bensi per darne fondatezza, ed ipse dixit, l’Inps sulle pensioni d’anzianità sta in attivo, ben sapendo però che lo stesso ente vien usato dallo stato per ottenere i fondi per coprire tutte le sue falle, perché ad aeternum dovranno pagare sempre i soliti?.
Ora ci viene chiesto di andare in pensione a 67 anni perché cosi fan tutti….ma proprio tutti? E come si organizza un azienda con diversi dipendenti over 60?
Mah………resta il fatto che i nostri governanti hanno  pensioni vitalizi etc etc ( senza voler quantificarle altrimenti dovremmo scrivere un libro solo sull’argomento ), e non vogliono sentir ragioni per farne a meno di un centesimo delle loro entrate, invece con lo sguardo neanche tanto basso osano a noi chiedere di fare sacrifici, ma non li abbiamo già fatti sudando e guadagnando onestamente il nostro diritto alla pensione?
Perché la pensione è un nostro diritto e noi non lo molleremo MAI MAI MAI MAI………………………………………………………………………………………………….


 Emilia Sirbu e Stefano Di Benedetto