Il Patto
di stabilità e crescita (PSC) è un accordo stipulato dai paesi membri
dell'Unione
Europea, approvato a Dublino il 13/14
1996, inerente al controllo delle rispettive politiche di bilancio, al fine di
mantenere fermi i requisiti di adesione all'Unione Economica e Monetaria europea.
Esso si richiama agli articoli 99 (Articolo 99, comma 2 “Il Consiglio, deliberando a
maggioranza qualificata su raccomandazione della Commissione, elabora un
progetto di indirizzi di massima per le politiche economiche degli Stati membri
e della Comunità, e ne riferisce le risultanze al Consiglio europeo. Il
Consiglio europeo, deliberando sulla base di detta relazione del Consiglio,
dibatte delle conclusioni in merito agli indirizzi di massima per le politiche
economiche degli Stati membri e della Comunità. Sulla base di dette
conclusioni, il Consiglio, deliberando a maggioranza qualificata, adotta una
raccomandazione che definisce i suddetti indirizzi di massima. Il Consiglio
informa il Parlamento europeo in merito a tale raccomandazione”) e 104 (Articolo
104 comma 1 “Gli Stati membri devono evitare disavanzi pubblici eccessivi”) del Trattato di Roma istitutivo della Comunità Economica
Europea (così come modificato con il Trattato
di Maastricht e dal Trattato
di Lisbona).
Il Patto di
stabilità e crescita ha per oggetto la disciplina di
bilancio degli Stati membri dell’Unione Europea e fissa in modo perentorio
l’obiettivo della politica fiscale di ciascun paese, prescrive l’obbligo di
presentare un programma di stabilità, definisce il concetto di disavanzo eccessivo,
stabilisce i criteri che gli organi comunitari (Commissione economica, Comitato
economico e
finanziario, Consiglio) devono seguire nella valutazione dell’esistenza di un
disavanzo pubblico eccessivo, determina la misura delle sanzioni, accelera e
chiarisce le procedure di dichiarazione dei disavanzi eccessivi. Ci sono due
modifiche significative introdotte col Patto di Stabilità, la prima riguarda
l’introduzione di un obiettivo di bilancio di medio periodo, fissato
quantitativamente, che indica esplicitamente, a differenza del Trattato di
Maastricht, che l’azione fiscale delle autorità governative deve tendere a
realizzare un equilibrio di bilancio di medio termine, ovvero un saldo
complessivo del conto consolidato della Pubblica Amministrazione pari a zero o
positivo in media in un intero ciclo economico e la seconda concerne la
ridefinizione del margine di discrezionalità nella valutazione delle politiche
fiscali dei paesi dell’Unione monetaria.
La valutazione
della disciplina di bilancio avviene sulla base delle informazioni raccolte da
ciascun paese nella forma di un programma di stabilità. Il Consiglio, sulla
base delle valutazioni della Commissione e del Comitato e delle informazioni
fornite dallo Stato esaminato, verifica l’applicazione dei programmi di
stabilità e gli scostamenti dagli obiettivi a medio termine e, qualora lo
reputi opportuno, formula allo Stato interessato una raccomandazione, che può
divenire pubblica qualora lo scostamento persista.
Il disavanzo
pubblico è definito «eccessivo», secondo uno dei regolamenti attuativi del
Patto, se il superamento del valore di riferimento, definito nel protocollo sui
« disavanzi eccessivi» pari al 3 per cento del PIL (il parametro deficit
pubblico/PIL pari al 3 per cento assume il significato di limite massimo
superabile solo in condizioni eccezionali rigorosamente e dettagliatamente
definite), avviene in mancanza delle condizioni di eccezionalità,
temporaneità e limitatezza.
Il Patto di
stabilità e crescita introduce una serie di limitazioni significative al potere
degli Stati membri nel formulare la loro politica di bilancio. Infatti, esso
fissa un obiettivo di saldo di bilancio pubblico molto restrittivo e
attualmente non ancora raggiunto nei paesi dell’Unione Monetaria europea. Specifica in modo dettagliato e
rigoroso i criteri di valutazione della politica fiscale di un paese, riducendo
i margini di discrezionalità che in tale ambito erano attribuiti agli organi
comunitari dal Trattato di Maastricht, precisa i tempi e gli adempimenti relativi
alla disciplina di bilancio degli organi comunitari e degli Stati membri,
dispone di sanzioni piuttosto pesanti per le violazioni della sua
regolamentazione.
Il patto di
stabilità e crescita può, pertanto, creare difficoltà non trascurabili in molti
Stati membri dell’Unione Monetaria che risulta caratterizzata dalla transizione
da un saldo pubblico negativo e vicino al parametro di riferimento del
disavanzo (pari al 3 per cento) ad uno pari a zero o positivo.
Il Trattato di
Maastricht stabilisce che il rapporto tra debito pubblico e PIL non debba
superare il valore di riferimento del 60 per cento a meno che tale rapporto non
si stia riducendo in misura sufficiente e non si avvicini al valore di
riferimento con ritmo adeguato.
Per i paesi con
elevato debito pubblico cio’ puo implicare un avanzo primario positivo ed
elevato, che richiede una politica fiscale molto restrittiva. Infatti, la
dimensione dell’avanzo primario è tanto maggiore quanto più elevato è lo stock
e il debito accumulato e quanto più alto è il costo medio del debito pubblico.
Un’attenuazione all’orientamento restrittivo della politica di bilancio puo
essere ottenuta con una politica di privatizzazioni, che accelera la riduzione
del debito pubblico e diminuisce l’ammontare di servizio del debito e quindi
riduce l’avanzo primario richiesto per ottenere il pareggio di bilancio.
Negli anni del
risanamento finanziario gli obiettivi di riduzione del fabbisogno pubblico sono
stati raggiunti in parte attraverso la riduzione degli investimenti pubblici
piuttosto che in tagli di spesa corrente, ciò ha comportato effetti negativi
sulla crescita equilibrata del sistema economico. Nel Patto di stabilità e
crescita non si tiene conto in modo significativo ed esplicito delle spese per
lo sviluppo. La mancanza di considerazione delle spese per lo sviluppo può
generare contraddizioni tra gli obiettivi del Patto, quelli di convergenza
fiscale relativi al rapporto debito pubblico/PIL e quelli di crescita. In
condizioni di bassa espansione dell’economia ed in presenza di squilibri
strutturali di finanza pubblica il Patto di stabilità e crescita, ponendo
limitazioni alla possibilità di accrescere gli investimenti della Pubblica
Amministrazione, ostacola le azioni che potrebbero favorire il processo di
convergenza del debito pubblico e che richiedono solamente limitati aumenti
dell’indebitamento pubblico.
L’ articolo 104
C del
Trattato al terzo comma prevede che: «Se uno Stato membro non rispetta i
requisiti previsti da uno o entrambi i criteri menzionati, la Commissione
prepara una relazione ». La relazione, nel caso in cui lo Stato membro non
attua le misure necessarie nel rispetto del Trattato, diventa una
raccomandazione al paese in esame per far cessare la situazione entro un
determinato periodo.
Da
più parti si è sottolineata l'eccessiva rigidità del Patto, perché non
promuoverebbe né la crescita né la stabilità, e tanto meno perché esso è stato
applicato in modo incoerente( il Consiglio non è riuscito ad applicare le
sanzioni in esso previste contro la Francia e la Germania, malgrado ne sussistessero i presupposti). Ci
sono Stati membri che registrano da anni deficit "eccessivi",
malgrado gli avvertimenti e le raccomandazioni ricevute, non si sono poi visti
applicare alcuna sanzione.
Il Patto in tutte
le sue versioni, non funziona perché deriva da
una analisi sbagliata delle cause della crisi e per il difetto di
legittimità politica che incombe sulla Commissione Europea.
L'aumento
del debito pubblico si è verificato dopo il 2007, quando i governi europei sono
stati costretti a fare due cose: salvare il sistema bancario, che aveva accumulato
livelli di debito insostenibili e sostenere l'attività economica mantenendo
livelli di spesa pre-crisi mentre le entrate diminuivano drasticamente proprio
a causa della crisi.
Ma
anche se la diagnosi sulla crisi di debito fosse corretta e di conseguenza si
dovesse limitare la possibilità per i governi nazionali di creare deficit e
debito, il metodo prefigurato nel Patto di stabilità è sbagliato perché è
contrario al principio democratico fondamentale secondo il quale non ci può
essere tassazione senza rappresentanza.
Spesa
e tassazione nell'eurozona sono ancora questioni essenzialmente nazionali. Le
decisioni in questi ambiti sono prese dai governi nazionali e votate nei
parlamenti nazionali, in quanto sono i politici nazionali che spendono e
mettono tasse .
Il
problema del Patto è in un corto circuito democratico: le istituzioni europee
non incorrono mai in una sanzione politica per le loro decisioni, saranno i
governi e i parlamenti nazionali a rispondere di decisioni prese da altri. E
ciò è del tutto inaccettabile, sul piano dei principi e sul piano pratico.
La
Commissione Europea non ha la legittimità democratica in senso politico:
non può essere punita da un elettorato per decisioni sbagliate nel campo della
tassazione.
In
più quando un governo
nazionale, sostenuto da un parlamento nazionale, entrerà in conflitto con la
Commissione europea su materie di spesa e tassazione, sarà quest'ultima a
perdere la battaglia.
E
non accadrà solo con i piccoli paesi dell'eurozona, ma anche con i grandi.
Con la riforma Maroni del 2004 vengono introdotti incentivi per chi rinvia la pensione
di anzianità (un super bonus in busta paga). Aumenta l’età
anagrafica per le pensioni di anzianità e quelle di vecchiaia; solo per le
donne rimane la possibilità di andare in pensione di anzianità a 57 anni
di età ma con forti tagli all’assegno pensionistico.
Con la riforma Prodi del 2007 si introducono le cosiddette “quote” per l’accesso alla
pensione di anzianità, determinate dalla somma dell’età e degli anni lavorati.
Nel 2009 la quota da raggiungere è 95 (con almeno 59 anni di
età), dal 2011 si passa a quota 96 (con almeno 60 anni di età), mentre dal 2013
si sale a 97 (con almeno 61 anni di età); si rende inoltre
automatica e triennale la revisione dei coefficienti di calcolo della pensione
obbligatoria in funzione della vita media calcolata su dati ISTAT.
La Legge 102 del 2009 ha infine stabilito che dal 1° gennaio 2010,
l’età di pensionamento prevista per le lavoratrici del pubblico impiego aumenta
progressivamente fino a raggiungere i 65 anni, invece dal 1 gennaio 2015,
l’adeguamento dei requisiti anagrafici per il pensionamento deve essere
collegato all’incremento della speranza di vita accertato dall’ISTAT e
validato dall’EUROSTAT.
Dopo queste brevi delucidazioni date sul sistema pensionistico
in Germania ed in Italia possiamo già dire che nel nostro paese, il discorso
pensioni forse non troverà mai pace. Con il passar del tempo e con gli studi
che stiamo approntando, per capire tutti i rivoli di questo “ pozzo di s.
patrizio “ tipicamente italiano, possiamo affermare senza timor di smentita che
oltre all’incostituzionalità di questo perpetuar di manovre su un sistema che
invece sin dall’inizio dovrebbe essere molto semplice e chiaro ( in
effetti è come un contratto assicurativo di tipo Vita che dovrebbe scattare al
primo giorno di lavoro e come tutti sappiamo non si possono cambiar contratti
in corso d’opera ) ci sono molte falle che dimostrano che la pensione
d’anzianità ( e con i suoi continui tagli etc etc ) serva solo a coprire altro.
Questo che diremo ora, pensiamo possa bastare non per avvalorare la nostra
tesi, bensi per darne fondatezza, ed ipse dixit, l’Inps sulle pensioni
d’anzianità sta in attivo, ben sapendo però che lo stesso ente vien usato dallo
stato per ottenere i fondi per coprire tutte le sue falle, perché ad aeternum
dovranno pagare sempre i soliti?.
Ora ci viene chiesto di andare in pensione a 67 anni perché cosi
fan tutti….ma proprio tutti? E come si organizza un azienda con diversi
dipendenti over 60?
Mah………resta il fatto che i nostri governanti hanno
pensioni vitalizi etc etc ( senza voler quantificarle altrimenti dovremmo
scrivere un libro solo sull’argomento ), e non vogliono sentir ragioni per
farne a meno di un centesimo delle loro entrate, invece con lo sguardo neanche
tanto basso osano a noi chiedere di fare sacrifici, ma non li abbiamo già fatti
sudando e guadagnando onestamente il nostro diritto alla pensione?
Perché la pensione è un nostro diritto e noi non lo molleremo
MAI MAI MAI MAI………………………………………………………………………………………………….
Emilia Sirbu e Stefano Di Benedetto
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