La pensione è, come tutti sappiamo, una forma
d’assicurazione pubblica, essa dovrebbe e sottolineo dovrebbe sfociare alla
scadenza in una forma di remunerazione post lavorativa ovvero una
forma di premio rateizzato ( riprendendo questo dire dai parametri delle
assicurazioni private ) per tutti i lavoratori, impiegati, etc etc con una
percentuale certa già al momento del primo versamento .
I contributi sono i soldi che i lavoratori e/o i loro datori di
lavoro devono versare obbligatoriamente per il sistema previdenziale.
Grazie a questo principio eticamente giusto, in fondo, a quanti
di noi è spesso capitato di pensare: “Ah…..quando sarò in pensione, farò tanti
viaggi, e tutte quelle cose che non ho fatto in 40 anni di vita lavorativa….”
Però, c’è un però, il tamtam sulle pensioni oggi a livello
europeo, e soprattutto in italia in qualche modo ci mette una pulce
nell’orecchio ( vista la situazione già abbastanza scarna ) e considerando che
nell’ultima manovra del governo l’argomento pensioni viene di nuovo
toccato, ci sorgono parecchi punti interrogativi. Uno di questi, che
sicuramente interessa anche la maggior parte delle persone, è come funziona il
sistema previdenziale negli altri paesi del vecchio continente ed in particolar
modo in Germania. Questo perché? Siamo sicuri che a parità di età le pensioni
successivamente prese sono della stessa percentuale contributiva ? E oltre,
tutte le facilitazioni date ai pensionati negli altri paesi son ugualmente date
in italia ? ma bando alle ciance cominciamo……………………………………………………….
GERMANIA
La Germania è il primo paese ad avere adottato un sistema
previdenziale pubblico. Il regime dell’assicurazione sociale obbligatoria è
stato infatti introdotto sul finire dell’800 ed esteso all’intera popolazione
lavorativa nel 1972. Il suo funzionamento poggia sul principio della
ripartizione, che prevede il finanziamento delle pensioni con le contribuzioni
correnti.
L’età pensionabile, sia per gli uomini sia per le donne è di 65
anni con un periodo di contribuzione minima pari a 5 anni (63 per gli invalidi
gravi); l’età effettiva si riduce però a 61,1 anni per le donne e a 61,4 per
gli uomini. Non è previsto alcun limite superiore d’età per il ritiro dal
lavoro, al contrario, ritardare il pensionamento dopo i 65 anni consente di
guadagnare un incremento del 6% per ogni anno di lavoro in più. Resta comunque
la possibilità di un prepensionamento a 60 anni per le donne e 63 per gli
uomini: in tal caso, la pensione viene ridotta del 3.6% per ogni anno.
L’età del pensionamento crescerà a partire dal 2012 lentamente
fino al 2029 per passare da 65
a 67 anni. La recente riforma pensionistica ha
introdotto un meccanismo innovativo di aggiustamento dei benefici pensionistici
che tiene conto dell’attesa di vita e delle condizioni del mercato del lavoro
(le aziende optano per un rimodellamento dei processi produttivi per
adattarli alle esigenze degli operai, la cui età è in costante aumento, visite
mediche, fornire abbigliamento speciale e organizzare seminari di
aggiornamento, etc).
Il sistema si basa su pilastri diversi, la parte principale è
rappresentata da programmi pensionistici pubblici.
I Pilastro: Il sistema
pensionistico tedesco è basato su una pluralità di fondi, gestiti o controllati
dallo Stato, e obbligatori per tutti i lavoratori: gli schemi pensionistici di
base variano a seconda della categoria di lavoratori e dei settori in
considerazione. Il sistema è finanziato a ripartizione con un contributo pari a
circa il 19,10% della remunerazione mensile lorda ed i contributi sono per metà
a carico del lavoratore e per metà a carico del datore di lavoro. Tra i
maggiori paesi europei, la Germania è l’unico che prevede l’indicizzazione
delle pensioni ai salari monetari, anziché ai prezzi; circostanza, questa, che
assicura una sostanziale invarianza nella distribuzione del reddito tra
lavoratori e pensionati. La rendita vitalizia erogata dal fondo sommata al
trattamento pubblico di base rappresenta all’incirca il 75-80% dell’ultima
retribuzione.
II Pilastro: è rappresentato
da pensioni integrative e vengono finanziati attraverso il metodo della
capitalizzazione, sono per la maggior parte a prestazioni definite e prevedono
un indicizzazione delle pensioni. La costituzione dei piani previdenziali
avviene attraverso accordi tra rappresentanze sindacali, tra il sindacato dei
lavoratori ed il datore di lavoro. . L’adesione è in linea di massima
volontaria (si tenga presente che il 10% del reddito totale degli anziani
proviene dal secondo pilastro) ed estesa a tutti i lavoratori dipendenti e
autonomi assoggettabili all’assicurazione sociale obbligatoria, compresi quelli
in congedo parentale, nonché coloro che prestano servizio militare o che
percepiscono l’indennità di disoccupazione.
III Pilastro: è composto
essenzialmente da polizze vita, a condizione che il piano previdenziale
individuale sia di almeno dodici anni. I premi di polizza sono interamente
deducibili. Rappresenta circa il 7% del totale del reddito pensionistico
ITALIA
La storia delle pensioni, nel nostro paese, comincia più di
cento anni fa. Le leggi istitutive dell’assicurazione contro l’invalidità
e la vecchiaia, si collocano tra la fine del XIX e l’inizio del XX
sec. Sono leggi che rappresentano una delle più importanti conquiste della
classe lavoratrice, ma al tempo stesso un momento fondamentale nella
costruzione del nucleo originario del welfare state.
Nel nostro Paese, il sistema pensionistico pubblico è
strutturato secondo il criterio della ripartizione, ciò significa che i
contributi che i lavoratori e le aziende versano agli enti di previdenza
vengono utilizzati per pagare le pensioni di coloro che hanno lasciato
l’attività lavorativa. Per far fronte al pagamento delle pensioni future,
dunque, non è previsto alcun accumulo di riserve. Per far fronte a questa
situazione, sono state attuate una serie di riforme tutte orientate a riportare
sotto controllo la spesa pensionistica.
Il sistema di rivalutazione delle pensioni in pagamento, non più
collegato anche alla dinamica dei salari reali (cioè al netto dell’aumento dei
prezzi al consumo) ma soltanto all’andamento dell’inflazione. Sono stati
ritoccati i requisiti minimi per ottenere la pensione sia con riguardo all’età
anagrafica sia all’anzianità contributiva.
L’età pensionabile varia per via delle diverse riforme a partire
dai anni 90.
Fino a dicembre del 1992: il
lavoratore iscritto all’INPS riceveva una pensione il cui importo era collegato
alla retribuzione percepita negli ultimi anni di lavoro. Con una rivalutazione
media del 2 per cento per ogni anno di contribuzione, per 40 anni di
versamenti, veniva erogata una pensione che corrispondeva a circa l’80 per
cento della retribuzione percepita nell’ultimo periodo di attività lavorativa.
Inoltre, la pensione in pagamento veniva rivalutata negli anni successivi
tenendo conto di due elementi fondamentali: l’aumento dei prezzi e l’innalzamento dei
salari reali.
Con la riforma Amato del 1992, si innalza l’età per la pensione di vecchiaia e le
retribuzioni prese a riferimento per determinare l’importo della pensione
vengono rivalutate all’1 per cento, e la rivalutazione automatica delle
pensioni in pagamento viene limitata alla dinamica dei prezzi. La riforma Amato
ha dato il via a una riduzione del grado di copertura pensionistica rispetto
all’ultimo stipendio percepito.
Con la riforma Dini del 1995 dal sistema retributivo si è passati a quello contributivo
(retributivo = la pensione corrisponde a una percentuale dello stipendio del
lavoratore; contributivo = l’importo della pensione dipende
dall’ammontare dei contributi versati dal lavoratore nell’arco
della vita lavorativa)
Quest’ultimo criterio di calcolo comporta una consistente
diminuzione del rapporto tra la prima rata di pensione e l’ultimo stipendio percepito;
per i lavoratori dipendenti con 35 anni di contributi, la pensione corrisponde
a circa il 50-60 per cento dell’ultimo stipendio,e si rivaluta in base al tasso
dell’inflazione.
Con il Decreto Legislativo 47 del 2000 viene migliorato il trattamento fiscale per coloro che
aderiscono a un fondo pensione e sono introdotte nuove opportunità per chi
desidera aderire in forma individuale alla previdenza complementare.
Con la riforma Maroni del 2004 vengono introdotti incentivi per chi rinvia la pensione
di anzianità (un super bonus in busta paga). Aumenta l’età
anagrafica per le pensioni di anzianità e quelle di vecchiaia; solo per le
donne rimane la possibilità di andare in pensione di anzianità a 57 anni
di età ma con forti tagli all’assegno pensionistico.
Con la riforma Prodi del 2007 si introducono le cosiddette “quote” per l’accesso alla
pensione di anzianità, determinate dalla somma dell’età e degli anni lavorati.
Nel 2009 la quota da raggiungere è 95 (con almeno 59 anni di
età), dal 2011 si passa a quota 96 (con almeno 60 anni di età), mentre dal 2013
si sale a 97 (con almeno 61 anni di età); si rende inoltre
automatica e triennale la revisione dei coefficienti di calcolo della pensione
obbligatoria in funzione della vita media calcolata su dati ISTAT.
La Legge 102 del 2009 ha infine stabilito che dal 1° gennaio 2010,
l’età di pensionamento prevista per le lavoratrici del pubblico impiego aumenta
progressivamente fino a raggiungere i 65 anni, invece dal 1 gennaio 2015,
l’adeguamento dei requisiti anagrafici per il pensionamento deve essere
collegato all’incremento della speranza di vita accertato dall’ISTAT e
validato dall’EUROSTAT.
Dopo queste brevi delucidazioni date sul sistema pensionistico
in Germania ed in Italia possiamo già dire che nel nostro paese, il discorso
pensioni forse non troverà mai pace. Con il passar del tempo e con gli studi
che stiamo approntando, per capire tutti i rivoli di questo “ pozzo di s.
patrizio “ tipicamente italiano, possiamo affermare senza timor di smentita che
oltre all’incostituzionalità di questo perpetuar di manovre su un sistema che
invece sin dall’inizio dovrebbe essere molto semplice e chiaro ( in
effetti è come un contratto assicurativo di tipo Vita che dovrebbe scattare al
primo giorno di lavoro e come tutti sappiamo non si possono cambiar contratti
in corso d’opera ) ci sono molte falle che dimostrano che la pensione
d’anzianità ( e con i suoi continui tagli etc etc ) serva solo a coprire altro.
Questo che diremo ora, pensiamo possa bastare non per avvalorare la nostra
tesi, bensi per darne fondatezza, ed ipse dixit, l’Inps sulle pensioni
d’anzianità sta in attivo, ben sapendo però che lo stesso ente vien usato dallo
stato per ottenere i fondi per coprire tutte le sue falle, perché ad aeternum
dovranno pagare sempre i soliti?.
Ora ci viene chiesto di andare in pensione a 67 anni perché cosi
fan tutti….ma proprio tutti? E come si organizza un azienda con diversi
dipendenti over 60?
Mah………resta il fatto che i nostri governanti hanno
pensioni vitalizi etc etc ( senza voler quantificarle altrimenti dovremmo
scrivere un libro solo sull’argomento ), e non vogliono sentir ragioni per
farne a meno di un centesimo delle loro entrate, invece con lo sguardo neanche
tanto basso osano a noi chiedere di fare sacrifici, ma non li abbiamo già fatti
sudando e guadagnando onestamente il nostro diritto alla pensione?
Perché la pensione è un nostro diritto e noi non lo molleremo
MAI MAI MAI MAI………………………………………………………………………………………………….
Emilia Sirbu e Stefano Di Benedetto
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