sabato 19 novembre 2011

La Legge Pinto



LEGGE 24 marzo 2001, n. 89
Previsione di equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole del processo e modifica dell'articolo 375 del codice di procedura civile.


Capo II    EQUA RIPARAZIONE 

Art. 2. (Diritto all'equa riparazione)

1) Chi ha subito un danno patrimoniale o non patrimoniale per effetto di violazione della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, ratificata ai sensi della legge 4 agosto 1955, n. 848, sotto il profilo del mancato rispetto del termine ragionevole di cui all'articolo 6, paragrafo 1, della Convenzione, ha diritto ad una equa riparazione.

La lentezza della giustizia italiana in relazione alla durata dei processi civili, penali, amministrativi e tributari è un dato ormai noto, una situazione così drammatica da spingere la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo a condannare lo Stato Italiano a corrispondere risarcimenti per violazione della ragionevole durata del processo in quasi il 100% dei casi.
Il principio della ragionevole durata del processo è stato recepito in
Italia anche a livello costituzionale, art. 111 : “Ogni processo si svolge nel contraddittorio tra le parti, in condizioni di parità, davanti a giudice terzo e imparziale. La legge ne assicura la ragionevole durata..."

Che cos’è la Legge Pinto?

La normativa, nota come Legge Pinto è vigente dal 24 marzo 2001 e introduce il diritto ad ottenere un risarcimento per coloro che subiscano danni (patrimoniali e non) a causa della violazione della "Convenzione per la Salvaguardia dei Diritti dell'Uomo e delle Libertà Fondamentali", ciò in presenza di tre requisiti:
1) la non ragionevole durata del processo;
2) l'esistenza di un danno conseguente;
3)l'esistenza di un nesso causa-effetto fra durata del processo e danno cagionato.

La Legge Pinto (L. n. 89 del 24/03/2001), fu la risposta effettiva agli esasperanti tempi processuali e un'innovazione normativa che prevede il diritto a un'equa riparazione del danno per tutti coloro che hanno subito un processo di durata eccessiva, ovvero superiore ai tre anni per il Primo Grado, ai due per l’Appello, a uno per la Cassazione. Quando si superano queste soglie temporali il processo è ritenuto di durata irragionevole e la Legge Pinto prevede che lo Stato sia sanzionato.
Ogni cittadino che ha subito un giudizio (di Primo Grado, di Appello o di Cassazione) di durata eccessiva (in pratica tutti coloro i quali hanno avuto la sventura di passare nelle aule dei Tribunali) può richiedere il risarcimento del danno per eccessiva durata del processo entro sei mesi dalla conclusione dello stesso (dal momento in cui la sentenza è divenuta definitiva) e indipendentemente dal esito positivo o negativo della sentenza.
In termini prettamente economici, l'importo del risarcimento oscilla tra i 1.000 e i 1.500 Euro per ogni anno di durata del processo, e ciò va computato a seconda degli interessi e delle situazioni giuridiche compromesse. La durata degli anni della procedura si calcola nel suo complesso e non isolatamente per anno di ritardo. La determinazione di tali importi è il frutto di valutazioni generali della Corte di Strasburgo. Le somme che vengono liquidate a favore del ricorrente, essendo puro ristoro di un danno patito, non hanno natura di incremento della ricchezza e non devono perciò essere assoggettate ad imposte.

Ma torniamo ai giorni nostri, e più precisamente al momento in qui viene presentato il disegno di legge A.S. n. 1880….
Il fumus Berlusconis gettato negli occhi degli italiani, impedisce di vedere il vero obiettivo di questo disegno di legge, ossia  la modifica della Legge Pinto, quest’ultima studiata per evitare le pesanti sanzioni della Corte Europea per i diritti umani relative alla violazione del diritto alla ragionevole durata del processo civile, penale o amministrativo, ma che, in pratica, si è dimostrata troppo onerosa per lo Stato, nel momento in cui deve risarcire i cittadini per le lungaggini della magistratura.
Il governo ha messo a punto una modifica diretta a risparmiare il denaro da restituire ai cittadini, mettendo in atto una abbreviamento dei tempi di giudizio, che se non rispettati, porteranno alla prescrizione.
Spostare l’ attenzione sui processi del premier, il quale ha certamente modo di difendersi con i mezzi e la schiera di avvocati incaricati per la propria tutela, significa letteralmente, e con destrezza, scippare i cittadini dei (già parziali) diritti acquisiti.

Già nel 2006, allora Ministro della Giustizia Italiano,  Clemente Mastella, aveva presieduto una Commissione incaricata “di proporre riforme ed interventi giuridici organizzativi che miravano a razionalizzare l’esercizio della giustizia” perché la durata delle procedure era “aumentata in modo ingiustificato”.
Il problema della lentezza della giustizia fu descritto come “una legislazione gravosa, qualche volta inappropriata e contraddittoria,  che comporta un aumento del numero di cause e genera pesanti carichi finanziari, in seguito alla Legge Pinto, sulla responsabilità in caso di lunghezza eccesiva della procedure”.

I cittadini stanno ancora attendendo che si possa celebrare un processo equo e breve, scevro da conflitti di interpretazione delle norme farraginose e vessatorie.

La legge, forse, non è poi cosi uguale per tutti.


Emilia Sirbu e Stefano Di Benedetto